Omelia del Vescovo Domenico
Verona, Tempio votivo, 4 novembre 2023
Memoria di San Carlo Borromeo S. Messa con rito di ordinazione presbiterale di don Matteo Franzoni, C.O.
(1 Gv 3,13-16; Sl 22; Gv 10, 11-18)
L’epitaffio di un cristiano del II secolo – San Filippo Neri una volta giunto a Roma da Firenze si temprò con la preghiera e la meditazione nelle catacombe di san Sebastiano – recita così: “Io, di nome Abercio, discepolo del casto pastore che pasce greggi di pecore per monti e per piani; egli ha grandi occhi che guardano dall’alto dovunque”. I “grandi occhi” sono quelli del “bel pastore”, come Gesù si autodefinisce. Quel che manca oggi alla nostra generazione è un tale sguardo. Ci siamo sottratti troppo frettolosamente allo sguardo di Dio per ritrovarci sotto l’occhio del “grande Fratello” che ci geo-localizza, lasciandoci nella nostra solitudine esistenziale. Solo la fede cristiana dona uno sguardo nuovo. Quello di cui si parla nella 1 lettera di Giovanni: “Da questo abbiamo conosciuto l’amore: Egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli”.
Non a caso, Gesù ripete per ben cinque volte in pochi versetti: “Io dono la mia vita”. Così fa il pastore, a differenza del mercenario. Quest’ultimo fugge via all’arrivo del lupo che è, peraltro, un animale bellissimo, potente, col muso appuntito, come una freccia. Anche il buon pastore ha incontrato tanti lupi: gli ‘arrivisti’ Giacomo e Giovanni, l’approfittatore Zaccheo, l’adultera, il delinquente sulla croce. Tutta gente che avrebbe potuto minacciare le sue pecore, disperderle e rapirle. Ma Gesù non li caccia a bastonate, ma converte la loro violenza in energia positiva. Questo è chiamato ad essere il pastore oggi, con “combattiva tenerezza” (EG, 88), direbbe papa Francesco. In questo ossimoro c’è tutta la tua vita futura. Capita talora di incontrare preti o soltanto “aggressivi”, senza alcuna relazione con il popolo, oppure solo “teneroni”, cioè lascivi rispetto alla sorte del mondo. Sei chiamato a diventare un “combattente tenero”, sulle orme di san Filippo Neri che ha unito in sé queste due qualità. Né un frustrato, dunque, che aggredisce, né un irrisolto che lascia andare. Combattente e tenero, come Pippo fu intraprendente, sempre sul filo dell’ironia.
Infine, aggiunge il testo evangelico “Ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare”. A noi piacciono i recinti chiusi anche se siamo in un mondo globalizzato; privilegiamo i piccoli gruppi, gli amici degli amici, mentre gli altri se ne stiano fuori. Tu invece, caro Matteo, devi “far voto di vastità”, cioè, devi allargare il tuo sguardo a tutti. La “visita alle sette chiese” deve essere il tuo criterio pastorale: cioè bambini ed adolescenti, giovani, adulti e anziani. Dinanzi alla catastrofe
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educativa, alla crisi familiare, allo sfilacciamento sociale, il rischio è di fuggire altrove. Mentre tu devi lasciarti ispirare da san Carlo Borromeo che colse nell’Oratorio il luogo della riforma. In realtà, si trattava di un itinerarium mentis, animi et corporis, un viaggio che facendo uso di tutti i linguaggi, non esclusa la musica, mettesse il giovane in atteggiamento di ricerca. A te questo compito da oggi viene affidato perché “i grandi occhi” di Gesù continuino a guardare dall’alto dovunque.